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Sensi e oltre

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Il lavoro sui sensi o sul sensoriale; quante volte ne abbiamo sentito parlare. Nasce con Stanislavskij e diventa uno dei perni dell’attività di Lee Strasberg. Sembra affascinante questo tipo di approccio, utile e magari anche un po’ magico. E’ questo il punto: insegnanti, a volte non proprio competenti, utilizzano questo tipo di lavoro, per ignoranza, per pigrizia o per ragioni di mercato, proponendolo in maniera un po’ mistica, nebulosa, se così si può dire.

Ma cosa vuol dire lavorare realmente sui sensi? E, soprattutto, si può prescindere dalla loro profonda conoscenza?

Platone contrapponeva la verità, definita alètheia, all’illusione, la doxa; ciò che riguarda i sensi appartiene quindi alla doxa che è una sorta di proiezione dell’alètheia.
I sensi, definiti comunemente le porte della percezione, ci consentono di vedere soltanto delle impressioni, non la realtà. E Platone ne fornisce un esempio col celebre mito della caverna: uomini ivi imprigionati vedono proiettate su una parete, che sono costretti a guardare, ombre che credono essere reali, in quanto ne odono anche le voci. Uno di essi, liberatosi, scoprirà che quelle ombre altro non erano che statue di dei e animali portate in spalla da uomini veri e che le voci erano le loro.

Ciò che noi possiamo quindi toccare, sentire fisicamente, sarebbero solo delle ombre, mentre ciò di cui non ci è dato fare esperienza diretta , vale a dire i campi dei corpi stessi, sarebbero la realtà.
Sappiamo bene che non siamo capaci di percepire tutta la realtà che ci circonda, ben il 95% di essa ci sfugge.

Non riusciamo a percepire gli ultrasuoni, come i cani, gi infrasuoni, come i pipistrelli, i rumori della struttura molecolare, i raggi X, quelli UV, i raggi cosmici, la radioattività, che comunque ci attraversano, perché se così fosse rischieremmo di impazzire. E’ stata la natura a mettere in atto un’operazione “salvificatrice”, selezionando bande di frequenza percepibili dal nostro cervello, che consente il passaggio, e la conseguente elaborazione, solo di parte di esse, ed è in quel range di bande che si svolge la nostra vita.

E’ vero che senza i sensi probabilmente la nostra esistenza sarebbe completamente diversa, in quanto ci forniscono un accesso al reale; ma essi producono sensazioni, non certezze, qualcosa, quindi, di estremamente soggettivo e sono in grado di esperire solo il 5% della realtà che ci circonda. Le sensazioni che percepiamo vengono poi trasformate in immagini, immagini che compongono la nostra realtà. Una realtà incompleta.

Non va dimenticata la soggettività che caratterizza i sensi, che non ci consente di vedere tutti una stessa realtà, non solo tra specie diverse, come l’uomo e il cane, ad esempio, ma anche all’interno della stessa specie; ciò a causa delle alterazioni che il cervello può subire, come nel caso dei daltonici.

Ad ogni modo il lavoro di base più giusto sui sensi è quello dell’integrazione tra gli stessi: il totale è superiore alla somma delle singole parti. Un solo dito non è la mano. E fin qui accademia, si spera sempre. Ma noi dobbiamo andare oltre.

Oltre

Studi scientifici parlano di vari livelli di energia, di vibrazioni alle quali noi tutti siamo esposti, e delle quali siamo composti, ma che non tutti riusciamo a percepire allo stesso modo, data la differente sensibilità che ci caratterizza.
Sarebbe interessante educare noi stessi per ottenere strumenti utili per misurare quest’energia e utilizzarla.

Dovremmo prestare maggiore attenzione al 95% di invisibile che ci circonda, perché come afferma Carl Sagan “l’assenza di evidenza non è evidenza di un’assenza”.
Bisognerebbe smettere di fondare tutto sui sensi.

E’ necessario andare oltre il visibile, la recitazione deve sconfinare nella scienza dell’invisibile, solo così non resterà incompleta, solo così potrà venire fuori dal medioevo nel quale si è arenata.

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